Didattica e pedagogia speciale lez. 70-96
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Título del Test:![]() Didattica e pedagogia speciale lez. 70-96 Descripción: Prof. Simone |




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Ha parlato di “pensiero narrativo”. Si tratta di: M. Montessori. Bartolo Longo. J. Bruner. J. Piaget. Per P. Ricoeur, si esiste nella misura in cui si è capaci di: ribellarsi. raccontare. parlare. esprimersi. Per favorire riscatto ed emancipazione del soggetto marginale, può essere utile offrirgli: incentivi economici. racconti fantastici cui ispirarsi. modelli speciali cui ispirarsi. modelli identitari cui ispirarsi. I soggetti (adulti e bambini) marginali sono in grado di manifestare, nonostante tutto, aree di competenza: inaspettate. deficitarie. incongruenti. note. “Speciale capacità di far fronte agli eventi traumatici, di opporsi alle avversità, di superarle ed a volte persino di uscirne rafforzati, manifestando adattamento, flessibilità e capacità di contrastare le avversità, piegandole a proprio vantaggio”. Stiamo parlando di: fortuna. resilienza. impegno. progetto di vita. Per ottenere resilienza, nel gruppo in formazione il soggetto marginale: va posto accanto al formatore. va esentato dai compiti. va posto al centro. non deve rientrare. La finalità dell’intervento formativo, destinato a soggetti adulti marginali è di: incrementare il loro bagaglio lessicale. incrementare il loro bagaglio esperienziale. renderli conformi alla convivenza civile. renderli conformi alla normalità. Un fronte sul quale lavorare, per assicurare empowerment al soggetto in condizione di marginalità, è il sostegno: alla motivazione. al reddito. al linguaggio. al suo sistema familiare. Il soggetto marginale, mediante le nuove conoscenze acquisite in un percorso formativo, va ad arricchire: il suo contesto di vita. le pratiche formative. l’istituzione che rappresenta. il gruppo dei formatori. Dal punto di vista educativo, lo stato di madre sola disagiata può penalizzare anche l’esercizio della funzione: genitoriale. simbolica. riproduttiva. esecutiva. Sulla categoria delle madri sole disagiate si concentrano una serie di: eventi fortuiti. figli. partner. disagi. Le giovani madri sole disagiate risultano povere soprattutto di: validi sussidi economici. validi titoli di studio. valide soluzioni abitative. validi riferimenti affettivi. Come osserva F. Bimbi, le madri sole nubili, in passato, erano soggette ad una forte: disapprovazione sociale. depressione. considerazione sociale. empatia da parte dei familiari. I legami sentimentali di una giovane madre sola disagiata sono in genere caratterizzati: dalla presenza di violenza. dal supporto della propria madre. dall'assenza di un partner stabile. dalla presenza di un partner stabile. Le giovani madri sole disagiate rappresentano un fenomeno sociale non ancora adeguatamente analizzato anche dal punto di vista: pedagogico. psicologico. sociale. psichiatrico. Una importante risorsa per la vita della madre sola disagiata è rappresentata: dalla parentela più prossima. dai figli maggiorenni. dalla rete amicale. da alcuni sussidi economici. La rete parentale della giovane madre sola disagiata può essere al tempo stesso: affidabile e inaffidabile. utile e inutile. risorsa e fonte di problematicità. ampia e ristretta. Come evidenzia Giullari, le condizioni per imbastire un processo di reciprocità nel sostegno, per la giovane madre sola disagiata, è alquanto: possibile. immediato. facile. improbabile. Occorre impedire che si formi, nella giovane madre sola disagiata, una cultura della dipendenza come parte integrante della loro: identità. specificità. famiglia. professionalità. Una ricerca internazionale ha messo il luce come le giovani madri sole siano esposte a periodi di dipendenza dall’assistenza pubblica: alternativi. brevi. più lunghi della media. sporadici. Le forme di aiuto per le madri sole disagiate possono generare: soddisfazione. autonomia. dipendenza. indipendenza. Le due principali forme di aiuto per le madri sole disagiate sono rappresentate da: assistenza sociale pubblica e assistenza sociale privata. sostegno della famiglia d’origine e lavoro autonomo. assistenza sociale pubblica e aiuti da parte di amici. assistenza sociale pubblica e sostegno della famiglia d’origine. Come avvertono E. Ruspini e F. Bimbi, la povertà femminile è sempre intrecciata ad un percorso di: incoerenza. devianza. attaccamento. dipendenza. Per favorire il destino di una giovane madre sola disagiata possono influire: condizioni soggettive e condizioni oggettive. condizioni familiari e variabili contestuali. condizioni etniche e variabili ambientali. condizioni fisiche e variabili contestuali. Bolton, Laner e Kane affermano che i bambini di una madre sola adolescente sono esposti al rischio di: malformazioni. difficoltà comportamentali. devianza. maltrattamento. La trasmissione di madre in figlia della condizione di giovane madre sola disagiata è: difendibile. non dimostrata dal punto di vista scientifico. è vera. dimostrata dal punto di vista scientifico. Il bambino in condizione di disagio sociale vive l’esperienza scolastica con forte: distacco emotivo. entusiasmo. coinvolgimento emotivo. trasporto. Crosnoe e Copper affermano che i bambini in stato di marginalità sociale, economicamente svantaggiati, a scuola ottengono: punteggi più bassi rispetto agli altri compagni. più considerazione da parte dei compagni. punteggi più alti rispetto agli altri compagni. più considerazione da parte dei docenti. La scuola frequentata dal bambino in condizione di marginalità sociale può essere il luogo in cui intercettare i suoi primi segnali: di comunicazione. di disagio. di insofferenza. di apprendimento. Il focus del disagio infantile oggi può essere legato al concetto di povertà: educativa. economica. familiare. sociale. Il fenomeno della povertà educativa non può lasciare indifferente lo sguardo: dei genitori. delle scienze sociologiche. delle scienze economiche. delle scienze pedagogiche. Nei contesti del disagio sociale, avere un solo genitore rappresenta un: ulteriore fattore di criticità. fattore ininfluente. grande punto di forza. ulteriore fattore di sostegno. La finalità dell’intervento educativo, destinato ai portatori di disagio sociale, punta allo sviluppo in loro di: resilienza. differenza. resistenza. emozione. Bisogna aiutare il soggetto in condizione di disagio sociale a prendere consapevolezza dei propri bisogni e anche delle proprie: capacità. criticità. lacune. debolezze. La complessità che caratterizza il disagio sociale richiede una condivisione ampia della responsabilità: familiare. personale. educativa. giuridica. Il passaggio dagli istituti alla comunità si è reso necessario per rendere il modello assistenziale dei portatori di disagio sociale meno: spersonalizzante. lungo. personalizzato. complesso. Il progetto educativo individualizzato viene realizzato in comunità: soltanto per i bambini stranieri. per ciascun ospite. soltanto per coloro che presentano disabilità certificata. soltanto per qualche ospite con particolari problematiche. L’èquipe dei professionisti operanti in struttura predispone, per ciascun ospite un progetto educativo: individualizzato. unico. standardizzato. globale. Rispetto alle madri inserite nelle comunità di accoglienza, l’intervento educativo intende migliorare le loro capacità: genitoriali. soggettive. ambientali. contestuali. Il problema, da parte dell’utenza, della mancata accettazione del percorso comunitario, specie in fase iniziale, è piuttosto: raro. saltuario. normale. frequente. Come ha affermato M. Zappa, “chiudere davvero gli istituti” significa soprattutto lavorare sul territorio per costruire, a favore delle famiglie, una politica: di responsabilità condivisa. di animazione sociale. di partecipazione globale. di negoziazione. Il bambino si manifesta nel mondo e struttura una propria identità mediante: il corpo e il movimento. il ruolo degli educatori. il ruolo degli insegnanti. il corpo e la sua vivacità. Alle funzioni motorie (corpo e movimento) sono collegate quelle: ambientali. fisiologiche. psichiche. organiche. Quale dei seguenti NON è un obiettivo educativo contemplato nel progetto educativo individualizzato di un bambino ospite di una comunità educativa di accoglienza: Incremento delle capacità relazionali. Miglioramento del carattere. Raggiungimento del successo scolastico. Acquisizione delle routine quotidiane. Il modello di convivenza nella comunità di accoglienza ha come riferimento: l’ambiente familiare. l’ambiente esterno. il contesto assistenziale. il contesto scolastico. La maternità deve essere una condizione: assegnata. critica. fortemente ricercata. fortemente voluta. L’intervento educativo, rispetto alla dimensione assistenziale: è successivo. è ripetitivo. è precedente. deve andare oltre. Il problema, da parte dell’utenza, della mancata accettazione del percorso comunitario, specie in fase iniziale, è piuttosto: normale. saltuario. frequente. raro. Il progetto educativo individualizzato in comunità educativa di accoglienza serve per tenere attiva: la dimensione progettuale degli interventi da realizzare. la dimensione simbolica degli interventi da realizzare. la dimensione organizzativa degli interventi da realizzare. la dimensione valutativa degli interventi da realizzare. La costruzione di un progetto educativo individualizzato in comunità educativa di accoglienza non può prescindere da un coinvolgimento: dell’assistente sociale. del soggetto per il quale viene realizzato. dell’ambiente comunitario ospitante. del consulente legale dell’utente. La struttura di un progetto educativo individualizzato realizzato in comunità educativa di accoglienza rimane: flessibile. coesa. conclusa. articolata. Da una comunità educativa di accoglienza occorre essere dimessi: nei primi due mesi. immutati rispetto alla fase di ingresso. mutati rispetto alla fase di ingresso. nel più breve tempo possibile. Il progetto educativo individualizzato in comunità educativa di accoglienza è previsto: Soltanto per i maggiorenni. Per tutti gli utenti accolti. Soltanto per le madri. Soltanto per i bambini. Progettare, in ambito educativo, significa riuscire ad anticipare: la risposta dell’utenza. un indicatore di valutazione. un risultato atteso. la domanda dell’utenza. “Identifica la missione educativa della struttura e descrive la sua natura sistemica”. Ci stiamo riferendo al: progetto educativo individualizzato. progetto educativo complessivo. progetto educativo contingente. progetto educativo di comunità. Il verbo “progettare” deriva dal latino proiectum, traducibile con: “progettando”. “mettersi alle spalle”. “gettare indietro”. gettare in avanti”. Attraverso una adeguata progettazione educativa, la struttura educativa di accoglienza definisce la sua speciale: personalità. identità. sostanza. forma. Per praticare davvero percorsi di deistituzionalizzazione delle risposte di accoglienza in comunità educativa sono fondamentali: relazione e corresponsabilità. valutazione e azione. relazione e comprensione. corresponsabilità e azione. Nella pratica professionale quotidiana dell’educatore, non è più ammissibile una assenza, seppur parziale, di: progettualità. controllo. imprenditorialità. serenità. La comunità educativa di accoglienza esprime e rivendica una forte identità: terapeutica. pedagogica. istituzionale. riabilitativa. I professionisti operanti nelle comunità educative di accoglienza devono primariamente essere disposti: alla valutazione. a raccontare. alla conversazione. all’ascolto. Nella comunità educativa di accoglienza, per gli assisti, il benessere diventa una prospettiva esistenziale: scontata. già raggiunta in passato. da raggiungere. irrilevante. La comunità educativa mamma-bambino nasce dall’esigenza di non privare il piccolo della presenza di una madre: valida. molto adeguata. sola. seppur parzialmente adeguata. La teoria dell’attaccamento ha sottolineato come il legame con la madre sia il contesto privilegiato per lo sviluppo: sociale. infantile. umano. globale. Le figure professionali presenti nell’organigramma di una comunità educativa mamma-bambino sono generalmente: psicologo, pedagogista, assistente sociale. il team degli educatori professionali. coordinatore, psicologo, assistente sociale, avvocato. coordinatore, pedagogista, psicologo, assistente sociale, educatore. La normativa vigente prevede che le comunità educative abbiano a disposizione un massimo di: 25 posti. 7 posti. 20 posti. 10-12 posti. La permanenza in struttura educativa mamma-bambino è strettamente connessa al tempo necessario al raggiungimenti degli obiettivi previsti: dal servizio sociale territoriale. dal coordinatore. dal comune di residenza. dal progetto educativo individualizzato. Anche per il piccolo ospite della comunità, come per la sua mamma, va predisposto e perseguito un: progetto educativo individualizzato. piano di verifica. progetto educativo di comunità. piano di lavoro. Si auspica che la permanenza del bambino in una comunità educativa sia il più possibile: affollata. breve. vivace. sinergica. I bambini che nascono in comunità rappresentano ad oggi un fenomeno sociale: sconosciuto dal punto di vista scientifico. scarsamente indagato dal punto di vista scientifico. ampiamente conosciuto dal punto di vista scientifico. scarsamente accettato dal punto di vista scientifico. Gli allievi di origine straniera, portatori di disabilità, sono caratterizzati da doppia: potenzialità. difformità. socialità. differenza. L’attenzione pedagogica sugli allievi di origine straniera, portatori di disabilità, finora è stata: misurata. scarsa. continua. consistente. La disabilità è una variabile anche di tipo: speciale. linguistico. eccezionale. culturale. Silva sostiene che una scuola in grado di accogliere le diversità degli alunni deve necessariamente essere attenta anche alle loro: famiglie. razze. leggende. etnie. Dainese sottolinea che, nel nostro Paese, le pratiche rivolte a garantire una funzionale collaborazione con le famiglie di origine immigrata, con figli portatori di disabilità: non risultano ancora del tutto consolidate. risultano consistenti. risultato attualmente bloccate. risultano del tutto consolidate. La famiglia dell’allievo di origine immigrata, portatore di disabilità, collabora attivamente con la scuola se si percepisce come: risorsa. indipendente. autonoma. propria. Il principale ostacolo, per un proficuo rapporto scuola-famiglia dell’allievo di origine immigrata, portatore di disabilità, è rappresentato dal gap: potenziale. linguistico. grammaticale. sociale. Recenti ricerche attestano che le famiglie di origine immigrata sono caratterizzate da una condizione di: deprivazione. solitudine. maleducazione. arretratezza. La presa in carico dell’allievo portatore di disabilità è di pertinenza: dell’intera comunità scolastica. degli educatori socio sanitari. esclusiva del docente di sostegno. degli insegnanti curricolari. La famiglia dell’allievo straniero portatore di disabilità collabora attivamente con la scuola se si percepisce come: propria. autonoma. risorsa. indipendente. Secondo Ianes, la figura dell’insegnante di sostegno oggi richiede una forte: esperienza sul campo. retribuzione economica. specializzazione universitaria. dose di pazienza. Nel caso dell’allievo di origine immigrata, portatore di disabilità, è consigliabile rivedere diagnosi, piano educativo individualizzato, profilo di funzionamento tenendo conto: del carattere dell’allievo. delle indicazioni degli operatori socio sanitari. della storia del percorso migratorio dell’allievo. della capacità di risposta dell’allievo. Nella pratica didattica e osservativa, l’insegnante può essere soggetto a: stereotipi. nervosismo. vari tipi di problematiche. incomprensioni. L’osservazione scolastica dell’alunno con disabilità, proveniente da altra cultura, è funzionale anche alla realizzazione di una buona: osservazione finale. progettazione educativa individualizzata. diagnosi funzionale. valutazione finale. In alcune situazioni, la modalità di lavoro individualizzata può escludere l’allievo di altra origine culturale, portatore di disabilità: dall’autovalutazione delle sue competenze. dalla considerazione dei docenti. dalla vita della classe. dalla sua cultura di origine. La presenza di differenze e di diversità nella scuola è problema a carico: della classe interessata. dell’allievo che ne risulta portatore. del docente di sostegno. dell’intera comunità scolastica. Il tratto che più caratterizza una comunità scolastica è la sua dimensione: valutativa. inclusiva. architettonica. strumentale. |